il finale del libro

Posted in Uncategorized on Maggio 23, 2015 by indianapipps

lo volevo mettere su facebook. poi ho pensato che era una cattiva idea.

stanco.
non ho ancora capito il significato degli esseri umani, quindi non potrei mai spiegarmi quello degli introversi.
mi domando se ci sia qualcuno, qui, in grado di capire.
penso di sì. ma quelli che capiscono stanno ai margini; loro sanno di cosa parlo, e sanno anche che per certe domande non esiste risposta.
qualcuno ci avrà fatto pace. altri, come me, non se ne fanno una ragione. nei giorni migliori è come avere un macigno sulle spalle. negli altri, invece, è come se i macigni piovessero dal cielo. pioggia di meteoriti. mi è sempre piaciuta questa definizione.
rende molto l’idea. sono stanco. ho meno di trent’anni e me ne sento circa settanta. troppo tempo a cercare di capire, prima. troppo tempo a cercare di farmi capire, poi. a dire il vero, non mi ci sono mai impegnato molto. che senso ha. è scomodo, ed io amo la comodità.
penso sia più corretto dire che mi serve. le cose sono già abbastanza complicate così, senza affannarsi a dare spiegazioni circa un modo di essere in via d’estinzione. il wwf non si è ancora accorto di me. troppo serio. troppo dolce. troppo originale. troppo delicato. troppo cervellotico.
non trovo il senso. non ha senso neanche buttare fuori questo sentire, esporlo senza costrutto, alla vista di gente che, fondamentalmente, neanche conosco. che di sicuro non conosce me.
quando qualcuno si illude di conoscermi, mi verrebbe da ridere. non fosse altro che non trovo sensato neanche ridere da soli.
vorrei conoscere il finale del libro.
se provassi a scriverlo io, sarebbe un po’ lugubre.

cazzimma

Posted in Uncategorized on marzo 2, 2015 by indianapipps

parola napoletana così descritta in una pagina del sito dell’accademia della crusca:

cazzimma è un termine dialettale napoletano che, da un probabile precedente significato letterale di ambito fisiologico, a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso è passato ad indicare, per traslato, un atteggiamento opportunistico o prevaricante, sempre e comunque mirato a danneggiare, a coartare o a sopraffare gli altri. Il successo e la diffusione di questo dialettismo (e dei suoi derivati, come cazzimmeria e cazzimmuso) nell’italiano regionale della Campania (e forse di qualche regione vicina), anche in opere di carattere artistico e letterario, è stato senz’altro favorito dal fatto che in italiano non esiste un sinonimo esatto e univoco di cazzimma. Ma se la parola resta senza dubbio un regionalismo, il significato che trasmette è, come fa notare ancora Pino Daniele, fin troppo comune “in una società come la nostra, dove certe volte il diritto diventa un optional e anche se non sai fare niente, puoi andare avanti con la cazzimma”.

quello che penso io della cazzimma?

qualcuno dice che ci devi nascere.
qualcun altro assicura che te la fanno uscire.
chi ce l’ha, possiede uno strumento utilissimo.
chi non ce l’ha, la invidia.
io penso sia fondamentale.
non è un difetto.
un genitore deve insegnarla ai propri figli.
non è cattiveria.
è saperci fare.
è rispetto per sé.
è disprezzo per chi, tutto sommato, non merita di stare al mondo.
ed è forse l’unico surrogato alla giustizia divina.

tornai.

Posted in Uncategorized with tags , , on febbraio 27, 2015 by indianapipps

mi sono accorto che scrivo troppo su facebook. e facebook è una merda. meglio un blog. quindi mi sono ricordato che avevo un blog. eccolo. quindi ciao. è morto pino daniele. non da poco, in verità. io sono napoletano, lui per me quindi ha una certa valenza. siccome amo la musica, era da un po’ che avevo intenzione di approfondire la sua discografia, conoscendola solo a grandi linee, arrivandomi alle orecchie perché sì. è morto, ho fatto tardi. in realtà non ho fatto tardi, quindi adesso sto riascoltando tutto. era veramente un grande artista, una di quelle cose che ti fanno dire con un filo di orgoglio “sono napoletano”, quelle cose che attualmente ce ne sono poche. questo è il mio omaggio, il mio ricordo. grazie a pino per la sua musica, soprattutto quella cantata in dialetto, lì sì che era il nostro orgoglio. questo brano me lo ha fatto ascoltare una donna bellissima. troppo bella. la bellezza è una fregatura. buon ascolto, se c’è qualcuno in giro. e ricordate che nuje simmo ‘e miezo a via. nun ce facimmo mbruglia’.

“io non valgo un cazzo, è sempre stato così”

Posted in Uncategorized on dicembre 21, 2012 by indianapipps

egoismo, presunzione, disprezzo, insensibilità, falsità. sono queste le qualità (!) che permettono di vivere al meglio. è così che mi piacerebbe essere. così che probabilmente non sarò mai. essere qualcos’altro non serve, è inutile. trovi poche persone che apprezzino i buoni sentimenti. e quando le hai trovate, cosa ottieni se non la moltiplicazione del malessere? mal comune mezzo gaudio cosa vuol dire? si vive una volta sola, tanto vale vivere a cazzi propri.

una notizia buona e una cattiva

Posted in Uncategorized on dicembre 15, 2012 by indianapipps

quella buona è che l’amore prescinde da difetti o perfezione, si ama perché sì. la formula, l’alchimia, è sconosciuta a tutti. inutile arrovellarsi in merito. la notizia cattiva è che si può amare una persona, ma non una maschera.

Posted in Uncategorized with tags , , on giugno 17, 2012 by indianapipps

perché non vi credo?

Posted in Uncategorized with tags on giugno 15, 2012 by indianapipps

Tanta gentilezza, tante belle parole, tanta amicizia.
Sarebbe commovente.

Se solo vi credessi!
In realtà, io non credo in nulla.
Non al denaro, non all’amore né al cielo; mi si perdoni la citazione banale e un po’ fuori contesto.
Non ho un dio, non ho fiducia nelle persone, né mi aspetto niente dal futuro.
Quando la gente mi si avvicina, è difficile per me scorgerne intenzioni del tutto pure.
Ci  vedo sempre un secondo fine, un interesse, magari benevolo, cooperativo… ma con una radice egoistica, e non del tutto puro.

Perché?

Forse sono anch’io così, e la cosa mi sgomenta un po’.
Se non altro, non si può dire che io sia uno che cerca appoggio dagli altri, con o senza secondi fini… io coltivo il mio orticello, non mi avvicino ai viandanti e malsopporto la gente che invade il mio spazio.

Non credo in niente. Non è mica bello.

i salvatori

Posted in Uncategorized with tags , , , on giugno 5, 2012 by indianapipps

State alla larga da chi tenta di aiutarvi,

potrebbero prendere l’impegno sul serio!

Appunti sulla Peste (Charles Bukowski)

Posted in Uncategorized with tags , , , on Maggio 29, 2012 by indianapipps

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Appunti sulla peste
 
Peste  s.f. dal lat. pestis,   etimologicamente affine  a
perdere,  mandar in rovina (cfr. perdizione). Grave
malattia acuta contagiosa. Peste bubbonica, pestilenza.
Fetore. Rovina, danno grave. Persone cattiva, molesta.
 
la peste, in un certo senso, è un essere molto superiore a noi: sa dove trovarci e come. di solito ci trova
nel bagno o che facciamo l’amore o che dormiamo. è anche bravissima a coglierti mentre cachi, con uno
stronzo mezzo dentro e mezzo fuori. se è alla porta, gli gridi: “un momento! vengo subito, che diamine,
un momento!” ma il suono di una voce angosciata l’aizza maggiormente. allora la peste bussa con
rinnovata energia. bussa e suona il campanello insieme, di solito. devi aprirgli, farla entrare. e quando —
finalmente — se ne va, tu ti ammali per una settimana. oltre a romperti l’anima, la peste ti piscia sulla
ciambella del cesso. poche gocce di solito. non te n’ accorgi, se non quando ti sei già seduto sulla tazza ed è
troppo tardi.
a differenza di te, la peste ha un’infinita di tempo  a disposizione. tutte le sue idee sono in disaccordo
con le tue, ma lui non se n’accorge perché parla fitto fitto, sempre lui, e se anche tu riesci a dir qualcosa,
lui non ti sta a sentire. non ascolta mai la tua voce. per lui è solo un ronzio, una pausa, poi riprende il suo
monologo. e mentre lui seguita a parlare tu ti domandi sgomento come avrà fatto a intrufolarsi, col suo
sporco muso, nella tua anima. la peste conosce molto bene i tuoi orari e ti telefona di preferenza quando
dormi e per prima cosa ti domanda: “t’ho svegliato per caso?” o se trova le finestre tutte chiuse quando
arriva a casa tua, bussa e suona lo stesso, selvaggiamente, tutto in orgasmo. se non rispondi grida: “lo so
che sei in casa! c’è l’auto qui fuori!”
benché non conoscano le tue idee, i tuoi processi mentali, questi esseri nocivi e molesti sentono, per
intuito, di non andarti a genio: ma questo li eccita. e poi si rendono vagamente conto di che tipo sei tu: tu
sei uno che, fra far del male o subirne preferisci la seconda alternativa; ebbene, le pesti sano ghiotte delle
parti migliori dell’umanità: loro sanno dov’è la carne più buona.
la peste ha un bagaglio di luoghi comuni che scambia per saggezza. ecco una delle sue massime
preferite:
“non c’è niente che sia  tutto cattivo. tu dici che i poliziotti sono TUTTI cattivi. invece no. ne ho
conosciuti tanti, di buoni. insomma c’è anche il poliziotto buono.”
non hai modo di spiegargli che: quando un uomo indossa quella divisa diviene il tutore stipendiato
dell’ordine vigente. è pagato per far sì che nulla cambi. se a te va bene come stanno le cose, allora tutti  i
poliziotti sono buoni. se invece non ti piace come stanno le cose, allora per te sono tutti cattivi. c’è
qualcosa che è tutto cattivo. ma la peste è intrisa di questa filosofia sterile e marcia e non rinuncerà mai
alle sue teorie. incapace di pensare, la peste s’attacca alla gente: sinistramente e per sempre.
“noi non sappiamo quello che succede dietro le quinte non abbiamo elementi di giudizio. dobbiamo
quindi fidarci dei nostri  leaders.”
questa è una tale cretinata che non val neanche la pena di confutarla. anzi, la smetto di passare in
rassegna le fregnacce della peste, ché già mi vien male.
dunque. non occorre che la peste sia uno che ti conosce di nome o di fatto. la peste è ovunque, sempre
pronta a dirigere su di te il suo puzzolente  raggio  della morte. mi ricordo una volta, in particolare. m’era
andata bene alle corse. ero a Del Mar al volante d’un auto nuova. ogni sera dopo le corse prendevo
alloggio in un motel diverso. dopo fatta la doccia e essermi cambiato d’abito, uscivo in auto sulla
litoranea, alla ricerca di un buon posto dove mangiare. un posto cioè non affollato dove però si mangiasse
bene. sembra una contraddizione. voglio dire, dove si mangia bene dovrebbe essere affollato. ma come
molte verità teoretiche, questa qui non sempre si traduce in verità pratica. càpita tante volte che la gente
gremisca locali dove si mangia schifosamente. quindi  ogni sera compivo il mio pellegrinaggio alla ricerca
di un posto dove il cibo fosse buono ma non ci fosse tanta folla. ciò prendeva molto tempo. una sera girai
per più d’un’ora e mezza prima di trovare un posto adatto. parcheggiai l’auto, entrai. ordinai una bistecca
alla nuovayorkese, patate fritte e così via, e mi sedetti a sorseggiare un aperitivo in attesa che mi
servissero. la trattoria era vuota. era una serata magnifica, poi, mentre mi servivano la bistecca, la porta si
aprì e entrò la peste. non potevi sbagliarti. c’erano 32  trespoli liberi, e lui venne a sedersi proprio su quello
accanto a me. cominciò a attaccar discorso con la cameriera, dopo aver ordinato una ciambella. era un
tipo segaligno. la sua conversazione dava ai nervi. una sfilza di banalità stucchevoli, dalla bocca gli
usciva la puzza dell’anima sua putrefatta, impestando ogni cosa. e mi metteva il gomito nel piatto. lasciai
perdere la bistecca e uscii, e m’ubriacai tanto quella sera che il giorno appresso mi perdetti le prime tre
corse.
la peste non manca mai nel posto dove tu lavori. io sono una buona esca per la peste. una volta
lavoravo in un posto dove c’era un tale che non rivolgeva la parola a nessuno da 15 anni. il secondo
giorno ch’ero lì io, mi parlò per 35 minuti filati. era completamente sonato. saltava di palo in frasca, una
frase non aveva alcun nesso con quella successiva. il che va anche bene, senonché nel suo caso si trattava
di una sfilza di stronzate, rancida merda senza un minimo di spirito. lo tenevano lì perché era solerte sul
lavoro. “un buon lavoro, una buona paga.” in ogni posto c’è almeno un matto, una peste, e mi trovano
sempre. “ai più matti vai a genio tu.” è una frase che ho sentito ripetermi dovunque ho lavorato. non è
mica incoraggiante.
forse però bisogna riconoscere che tutti noi qualche volta siamo stati la peste per qualcuno, senza
rendercene conto. è un pensiero assai deprimente, ma purtroppo dev’essere proprio così. quest’idea può
aiutarci a sopportare la peste. in fondo, non c’è  nessun uomo al 100 per cento sano. tutti abbiamo varie
forme di pazzia e di bruttezza, delle quali non siamo  coscienti, ma di cui gli altri sono consapevoli. se ci
pensi su fitto, non campi più.
eppure, è da ammirare l’uomo che prende provvedimenti contro la peste. la peste si sgomenta di fronte
all’azione diretta e ben presto cambierà rotta. conosco un uomo, il tipo dell’intellettuale-poeta, però pieno
di vita e vivacità: costui ha messo un cartellino sulla porta di casa sua. non ricordo esattemente, ma dice
pressappoco così, in bellissima calligrafia:
 
chiunque desideri vedermi, mi telefoni per prendere appuntamento. non risponderò a chi venisse a
bussare senza essersi preannunciato. ho bisogno di tempo per svolgere il mio lavoro. non vi permetterò
di assassinare il mio lavoro. vi prego di rendervi conto che ciò che mi dà da vivere farà di me una
persona migliore anche nei vostri confronti quando alfine ci incontreremo a nostro bell’agio e senza
costrizioni di sorta.
 
ammiravo quel cartello. non mi pareva un atto di snobismo o presunzione. era una brava persona, chi
l’aveva affisso, uno che aveva abbastanza spirito e coraggio per proclamare i suoi diritti naturali. la prima
volta che vidi quel cartello, dopo averlo letto e aver udito che lui era in casa, me ne tornai zitto zitto alla
mia auto e me n’andai. la comprensione sta a fondamento di ogni cosa, ed è ora che cominciamo a capirci.
per esempio, io non ho nulla contro i  love-ins,  purché NON SIA COSTRETTO a parteciparvi. e non è che
io sia contro l’amore… ma stavamo parlando di peste, no, adesso?
perfino io, carne da peste come mi ritrovo, persino io una volta adottai una misura antipeste. lavoravo
a quel tempo 12 ore ogni notte, dio mi perdoni e dio perdoni dio, e c’era questa peste pestifera che non
faceva altro che telefonarmi ogni mattina verso le nove. io rincasavo alle 7 e mezza e dopo: un paio di
birre riuscivo di solito a addormentarmi. a questo punto, puntuale, lui. sempre le solite vecchie fregnacce.
lo sapeva di avermi svegliato e, solo a sentire la mia voce, si caricava. tossicchiava e miagolava e
borbottava e sputacchiava.  “senti,” gli dissi alla fine, “perché diavolo mi svegli sempre alle 9 di mattina?
lo sai che lavoro tutta la notte. 12 ore, a notte! perché diavolo seguiti a svegliarmi alle 9 ogni santa.
mattina?”
“casomai,” mi rispose, “che andavi alle corse. ti voleva beccare prima che uscissi per andare alle
corse.”
“senti,” gli dissi, “all’ippodromo attaccano all’una e tre quarti dopo mezzogiorno, e come diavolo
faccio a giocare ai cavalli quando lavoro 12 ore a notte? come diavolo farei secondo te? non ce la faccio.
devo dormire, cacare, farmi il bagno, mangiare, scopare, comprarmi i lacci per le scarpe, e via,
discorrendo. ma non ce l’hai, il senso della realtà? non ti rendi conto che 12 ore sul lavoro mi succhiano
via tutto e quando arrivo a casa non mi avanza più niente? non riesco a andare alle corse. casco dalla
stanchezza, manco ci ho la forza di grattarmi il culo. perché diavolo badi a telefonarmi alle 9 di mattina?”
la sua voce era, come suol dirsi, roca dall’emozione: “ti volevo beccare prima che andavi alle corse.”
era inutile. riagganciai. poi mi procurai una grosse scatola. poi presi il telefono e lo misi dentro quello
scatolone. poi l’imbottii di stracci. ogni mattina appena rincasavo l’imbottivo, poi quando mi svegliavo li
levavo. la peste era debellata. un giorno venne a trovarmi.
“come va che non rispondi più al telefono?” mi chiese.  
“chiudo l’apparecchio in una scatola di stracci appena arrivo a casa.”
“ma non ti rendi conto che quando chiudi il telefono dentro una scatola di stracci equivale,
simbolicamente, che mi ci chiudi  a me  dentro una scatola di stracci?”
lo guardai e risposi con estrema calma: “esatto.”
da allora i nostri rapporti non sono più gli stessi. ho incontrato un mio amico tempo fa, uno più
anziano di me, molto vivo ma non un artista (grazie a dio) e mi ha detto: MacClintock mi telefona 3 volte
al giorno. a te, ti telefona più?”
“non più.”
i MacClintock sono la favola del paese ma i MacClintock non si rendono mica conto di essere i
MacClintock. un MacClintock lo riconosci subito. ogni MacClintock ci ha un agendina nera zeppa di
numeri di telefono. se hai il telefono, sta’ in guardia. la peste prima o poi ti chiamerà, e poi comincerà a
chiedere di lasciargli (lasciarle) fare una telefonata, assicurandoti che non è un’interurbana (invece lo è,
sempre) e poi comincerà a riversare interminabili chiacchiere nell’orecchio del distinto ascoltatore, queste
pesti alla MacClintock sono buone di parlare per ore filate, e tu hai un bel tentare di non porgere ascolta,
non riesci a far a meno di ascoltare e provi una sorta di divertita compassione per  il poveretto, vittima di
quel tormento, all’altro capo del filo.
forse un giorno il mondo verrà ricostruito, rifatto nuovo, e allora la peste, dati i nuovi più decenti
tenori di vita e chiarezza maggiore di rapporti, non sarà più la peste. c’è la teoria secondo cui la peste è
creata da cose che non dovrebbero esserci. cattivo governo, aria cattiva, sesso incasinato, una madre col
braccio di legno, un padre che si ficcava bottigliette su pel culo, e così via. se questa società utopistica si
formerà, non possiamo saperlo. per adesso dobbiamo fare i conti con ogni sorta di svitati e di fottuti, vaste
zone di depressa umanità, orde di mortidifame, i neri e i bianchi e i rossi, le Bombe addormentate, i love-ins,  gli hippies, i non-tanto-hippies, Johnson, scarafaggi  ad Albuquerque, cattiva birra, lo scolo, editoriali
di merda, questo e quello, e la Peste. la peste è ancora qui. io vivo oggi, non domani. la mia utopia è:
meno pesti ADESSO. mi piacerebbe sentire la vostra storia. sono certo che ciascuno di noi sopporta un
paio di MacClintock. magari mi farete fare due risate con i vostri aneddoti sulla peste-MacClintock. dio,
adesso che ci penso! NON HO MAI SENTITO UN MACCLINTOCK RIDERE!!!
pensateci un po’.
passate in rassegna le pesti che avete conosciuto e chiedetevi: ridevano mai? le ho mai sentite ridere?
gesù, ora che ci penso, neppure io rido tanto. non riesco a ridere tranne quando sono solo. mi
domando: avrò mica scritto di me? una peste molestata da pesti. pensateci un po’. una intera colonia di
pesti che si contorcono e affondano le zanne e fan 69. fan 69? bah, accendiamoci una sigaretta e
scordiamo tutto quanto, lasciamo perdere. ci vediamo  domattina. chiuso in una scatola imbottita di stracci
a tastare tettine di cobra.
pronto. non t’avrò mica svegliato, no?
hmmm, non mi pare.

le emozioni

Posted in Uncategorized with tags , on Maggio 29, 2012 by indianapipps

Un’arma a doppio taglio.

Per alcuni un vero e proprio nemico.

Ma sono anche ciò che rende la vita degna di essere vissuta…

Sarebbe bello assumerne il controllo!